
Licenziamento tardivo: per la…
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Con l’ordinanza 14172 del 27 maggio 2025 la Cassazione esclude che la tardività della contestazione dell’illecito disciplinare possa essere sanzionata attraverso il rimedio della tutela reintegratoria. Il tema del licenziamento tardivo per contestazione disciplinare riguarda spesso i diritti del lavoratore, in particolare quando il provvedimento arriva a distanza di molto tempo dal presunto illecito. Il principio fondamentale che regola la materia è quello dell’immediatezza della contestazione disciplinare: il datore di lavoro per poter procedere a una sanzione come il licenziamento, deve agire entro un lasso di tempo ragionevole dal momento in cui viene a conoscenza del comportamento scorretto. Secondo la legge, la contestazione disciplinare deve essere immediata, ovvero deve seguire in tempi brevi l’accertamento del fatto illecito. Questo è fondamentale per evitare che il lavoratore si trovi in una situazione di incertezza riguardo al proprio rapporto di lavoro o che perda la possibilità di difendersi efficacemente. Tuttavia, la legge non fissa un termine preciso entro il quale deve avvenire la contestazione. Il datore di lavoro ha il diritto di condurre le dovute indagini per raccogliere prove sufficienti e procedere in modo corretto, specialmente se l’organizzazione aziendale è complessa. Nel caso di aziende più strutturate, infatti, il processo di accertamento e le procedure interne possono richiedere più tempo rispetto a contesti aziendali più semplici. Nonostante questo, i lavoratori si domandano spesso se un licenziamento tardivo, arrivato dopo mesi dalla commissione dell’illecito, sia legittimo. In generale, un licenziamento è considerato non tempestivo in due casi: quando passa troppo tempo tra il fatto illecito e la contestazione disciplinare o il licenziamento, senza una valida giustificazione e quando il datore di lavoro ha tollerato in passato comportamenti simili a quelli contestati, rendendo tali condotte una “prassi aziendale”. In questo caso, non può poi licenziare il dipendente per un comportamento che in passato non ha sanzionato. La Suprema Corte si è espressa più volte sulla questione della tempestività del licenziamento per motivi disciplinari ribadendo con più pronunce che il datore di lavoro deve agire rapidamente per consentire al dipendente di difendersi e raccogliere prove a proprio favore. Inoltre, un ritardo eccessivo può dare al lavoratore l’impressione che il comportamento scorretto sia stato tollerato o perdonato, inducendolo a ripeterlo e rischiando sanzioni più gravi. Tuttavia, la Suprema Corte ha precisato che il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo, considerando la natura dell’illecito e il tempo necessario per svolgere le indagini. Ciò significa che, se l’accertamento del fatto richiede più tempo, specialmente in organizzazioni complesse, un certo ritardo può essere giustificato. La giurisprudenza ha elaborato dei criteri per valutare quando un licenziamento è tardivo e, quindi, non legittimo. Nel caso oggetto della pronuncia richiamata Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento disciplinare irrogatogli, deducendo – tra le altre cose – la tardività della contestazione disciplinare inviata il 03.12.2018 a fronte della chiusura delle attività di audit interno avvenuta il 12.03.2018. La Corte d’Appello accoglie la predetta domanda e, sul presupposto della tardività della contestazione, dispone la reintegra del ricorrente. La Cassazione rileva che se l’illecito disciplinare posto a base del licenziamento non è stato preceduto da tempestiva contestazione, si è comunque fuori dalla previsione di applicazione della tutela reintegratoria. In particolare, secondo i Giudici di legittimità se il ritardo nella contestazione risulta notevole e ingiustificato, tanto da creare nel lavoratore l’affidamento sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto, si rientra nelle ipotesi punite con il riconoscimento in favore del dipendente di una tutela indennitaria piena. Mentre, laddove il ritardo non sia tanto grave da integrare una contrarietà della condotta datoriale rispetto agli obblighi di correttezza e buona fede, si rientra in una violazione formale che dà diritto ad una tutela indennitaria attenuata. Sulla base di tali considerazioni la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dall’ente datore, riconoscendo la non applicabilità della tutela reintegratoria in favore del dipendente licenziato. La Cassazione, dunque, ha confermato che la valutazione della tempestività spetta al giudice ed in particolare ha statuito un principio cardine ormai cristallizzato in materia: “La valutazione della tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito riservato al giudice del fatto, il quale deve accertare se il ritardo risulta notevole e ingiustificato tale da ledere in senso non solo formale ma anche sostanziale il principio di tempestività. L’illecito disciplinare non preceduto da tempestiva contestazione si colloca al di fuori della previsione di applicazione della tutela reale nella forma attenuata di cui al quarto comma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, che è invece contemplata per il caso di licenziamento ritenuto pesantemente infondato in considerazione dell’accertata insussistenza del fatto”.